Sono passati più di quarant’anni dall’uscita di questo manifesto grottesco della società contemporanea dove la televisione è la nuova Bibbia, ricca di messaggi falsi e depistanti per milioni di fedeli. Sidney Lumet, regista che per cinque decadi ha raccontato storie di uomini e donne in modo obliquo, dirige un mostruoso dramma che ha come protagonista Peter Finch nel ruolo di un santone in grado di parlare alla gente, tramite un rotocalco televisivo, convincendola che la stessa televisione è malata e che essa racconta solo stronzate. Il film di Lumet uscì il 27 novembre del 1976 vincendo 4 premi Oscar nell’edizione 1977: Miglior attore (Finch), Miglior attrice (Dunaway), Miglior attrice non protagonista (Straight), MIglior sceneggiatura originale. Con un budget di 3,8 milioni di dollari, incassò 24 milioni in tutto il mondo. Nel 2000 Network (il titolo originale) fu inserito nella Biblioteca del Congresso degli USA.
Howard Beale (Peter Finch) è un giornalista disperato, vedovo da anni e con un piccolo rotocalco post news della sera nel palinsesto del colosso televisivo della UBS. Visto il suo calo d’ascolti, il suo capo Max Schumacher (William Holden) gli comunica che i piani alti della rete hanno deciso di licenziarlo con due settimane d’anticipo, così che Beale, durante la sua penultima apparizione in tv dichiara in diretta di spararsi alla testa la settimana dopo. Curiosamente, lo share del suo rotocalco sale e, ai piani alti, la responsabile dei programmi (esclusi i notiziari) Diana Christensen (Faye Dunaway) che intuisce un possibile ulteriore innalzamento dello share, convince il direttore Frank Hackett (Robert Duvall) a trasformare il folle Beale in un santone mediatico. Dopo un’iniziale clamoroso successo nazionale, però, le cose cominciano a girare e il pubblico inizia a intravedere una esagerata commercializzazione del prodotto. Che cos’altro si potranno inventare le menti del palinsesto?
Paddy Chayefsky, genera una originalissima quanto controversa storia sulla elastica ferocia della televisione, capace di creare e uccidere i suoi figli e in cui il personaggio di Diana Christensen (una bellissima ma odiosissima Faye Dunaway) è la figura più emblematica, una donna che anche durante una fuga d’amore con un altro responsabile televisivo, parla di share e di ascolti, in cui la sua vita perde ogni contatto con la realtà e tutto ciò che importa è fare ascolti. Dall’altra parte c’è il povero Howard Beale, che crede veramente in ciò che dice alla gente, ma non sa che la sua posizione è quella di una marionetta. Oltre ai quattro bravissimi protagonisti c’è da sottolineare la strepitosa Beatrice Straight, che con una piccola parte di 7 minuti, si porta a casa l’Oscar (davvero impressionante). Se si pensa che questo film uscì nel 1976, ad oggi risulta ancora molto attuale per la sua crudeltà viva, in cui gli attori non sembrano tali, ma perfetti soldati della macchina mediatica, in cui il più oscuro volto è rappresentato da Arthur Jensen (Ned Beatty), presidente della UBS, che nel suo piccolo ruolo induce Beale a far sottomettere il popolo ad un sistema che non è quello che la gente crede..”Lei si mette sul suo piccolo schermo da 21 pollici e sbraita parlando d'”America” e di “democrazia”… Non esiste l’America, non esiste la democrazia! Esistono solo IBM, ITT, AT&T, Dupont, DOW, Union Carbide ed Exxon. Sono queste le nazioni del mondo, oggi. Di cosa crede che parlino i russi nei loro consigli di Stato? Di Carlo Marx? Tirano fuori diagrammi di programmazione lineare, le teorie di decisione statistica, le probabili soluzioni, e computano i probabili prezzi e costi delle loro transazioni e dei loro investimenti: proprio come noi. Non viviamo più in un mondo di nazioni e di ideologie, signor Beale: il mondo è un insieme di corporazioni, inesorabilmente regolato dalle immutabili, spietate leggi del business. Il mondo è un business, signor Beale: lo è stato fin da quando l’uomo è uscito dal magma. E i nostri figli vivranno, signor Beale, per vedere quel mondo perfetto, in cui non ci saranno né guerra né fame né oppressione né brutalità: una vasta ed ecumenica società finanziaria per la quale tutti gli uomini lavoreranno per creare un profitto comune, nella quale tutti avranno una partecipazione azionaria, e ogni necessità sarà soddisfatta, ogni angoscia tranquillizzata, ogni noia superata.“
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