Shining è senza alcun dubbio il miglior thriller-horror tratto da un libro di Stephen King e si gioca assieme a pochissimi altri il posto di miglior film horror di sempre. Nella carriera del leggendario Stanley Kubrick, questo gioiello del 1980, rappresenta l’unica pellicola di genere orrorifico del regista ed è la terzultima in rdine cronologico. Supportato come sempre dalla major Warner Bros., Kubrick ebbe la possibilità di usufruire di uno straordinario Jack Nicholson nel ruolo del guardiano Jack Torrance e dell’ottima Shelley Duvall; nel cast troviamo anche il piccolo Danny Loyd e il veterano Scatman Crothers nel ruolo di Halloran. Uscito nelle sale il 23 maggio del 1980, Shining ha ottenuto un buon incasso ma solo con il tempo è diventato una vera e propria pietra miliare della cinematografia. Incredibile a dirsi ma se da una parte il thriller di Kubrick abbia ricevuto critiche contrastanti al principio, dall’altra gli è stato affibbiato addirittura la nomination del Razzie Award per la peggior regia e una per la peggior attrice. Ci sono voluti alcuni anni prima che la critica si rendesse conto del valore della pellicola, che seppur si è concessa il lusso di modificare alcuni elementi rispetto al libro di Stephen King, ha sicuramente una fortissima personalità e rispetta pienamente le peculiarità del regista newyorkese.
Jack Torrance, aspirante scrittore, ex insegnante e disoccupato, con problemi di alcolismo, accetta il lavoro di guardiano invernale di un grande albergo in Colorado, l’Overlook Hotel, isolato e sperduto tra le montagne. Durante il colloquio, il direttore Stuart Ullman sostiene che non si tratta di un impiego fisicamente pesante ma che presenta difficoltà d’adattamento, poiché il guardiano si ritrova a dover vivere completamente isolato per circa cinque mesi. Dieci anni prima, infatti, un altro incaricato, di nome Delbert Grady, fu colpito da un forte esaurimento nervoso che lo portò a sterminare l’intera famiglia con un’ascia, per poi suicidarsi con un fucile. Jack, quasi divertito, sostiene che questo non è un tipo di situazione che potrebbe capitargli. Egli dichiara anzi di essere in cerca di tranquillità per scrivere il suo romanzo. Al termine della stagione di apertura, Jack con la moglie Wendy e il piccolo figlio Danny si trasferiscono all’Overlook Hotel. Danny ha doti extrasensoriali, subito notate dal cuoco afro-americano Dick Hallorann, il quale gli rivela di possedere anche lui la cosiddetta “luccicanza” (shining), una sorta di potere di telepatia e preveggenza. L’uomo avvisa Danny che nell’albergo si possono avere visioni dei misfatti accaduti in passato (l’edificio è stato costruito sul sito di un antico cimitero indiano), ma non bisogna aver nulla da temere perché non si tratta di eventi reali. Lo ammonisce tuttavia a non avvicinarsi assolutamente alla camera 237, senza però spiegarne il motivo. Danny ha un amico immaginario, “colui che sta dentro di lui”, di nome Tony, che gli parla tramite un dito e con la voce di Danny stesso, però più bassa e rauca, aiutandolo nei casi di bisogno. Tony gli dice che è riluttante ad andare a vivere nell’hotel mostrandosi anche “egli” reticente, fino a quando Danny ha delle visioni macabre dell’albergo, che lo lasciano terrorizzato. Passano i giorni e presto la neve taglia i collegamenti. Nell’albergo deserto, Jack passa le giornate a scrivere il suo romanzo, Wendy a fare i lavori domestici e Danny a fare lunghi giri nell’hotel con il suo triciclo. Con il passare del tempo però la situazione degenera.
Jack inizia a diventare scontroso e irascibile a causa della mancanza di ispirazione per il proprio romanzo. In Danny si moltiplicano le visioni inquietanti, dal singolare incontro con le figlie gemelle di Grady allo scempio dei loro cadaveri. Tony cerca di rassicurarlo, dicendogli che sono come le immagini in un libro e che non gli possono nuocere. Un giorno, mentre il bambino corre per i corridoi sul suo triciclo, trova la camera 237 socchiusa così decide di entrarvi. Nel frattempo Wendy viene attirata dalle urla di Jack, il quale narra di avere avuto un incubo in cui ha visto sé stesso uccidere la propria famiglia, finché Danny non ricompare nella sala molto provato e con graffi e segni sul collo. La madre del piccolo si convince che sia stato Jack e porta il bambino nel suo appartamento, al sicuro dal marito. Jack si sposta nella sala da ballo dell’hotel dove incontra la presenza di un barista degli anni venti di nome Lloyd, al quale confida che egli non ha mai usato violenza sui familiari e mai oserebbe farlo. Wendy lo raggiunge avvisandolo che nell’albergo ci sarebbe qualcuno, che avrebbe aggredito il bambino nella camera 237. Jack si reca sul posto incontrando la presenza di una giovane ragazza nuda che, una volta uscita dalla vasca da bagno, lo abbraccia e lo bacia.
Jack però si accorge che la ragazza si sta tramutando in una donna anziana in stato di decomposizione, che inizia ad inseguirlo per la stanza. A questo punto la sua mente vacilla. Egli non è in grado di distinguere le visioni dal reale e si convince di essere bersaglio della sua famiglia, ritenendola causa dei suoi fallimenti. Ritornando nel bar dell’albergo, assiste a un party anni venti e vi incontra il fantasma di Delbert Grady, il suo predecessore, che gli “conferma” i suoi sospetti, consigliando di eliminare i suoi familiari. Dick Hallorann, pur trovandosi a svernare in Florida, avverte la tragedia che sta per consumarsi. Wendy nel frattempo non ha più dubbi sulla follia di Jack, quando scopre che i dattiloscritti del romanzo non sono altro che pagine e pagine di una frase ripetuta all’infinito: «Il mattino ha l’oro in bocca» (All work and no play makes Jack a dull boy), e a un tratto viene sorpresa dal marito, che con sguardo folle, sembra incedere minaccioso…
Shining non rappresenta un’eccellente trasposizione cinematografica di un romanzo di paura, dove i poteri soprannaturali plagiano la mente debole e la scatenano contro i suoi simili. È una pellicola in grado di dimostrare le capacità straordinarie di questo regista, il quale trasforma il set sia interno che esterno in altro protagonista. Le hall diventano corridoi, e i corridoi che vanno sempre più a stringersi sono un processo mentale che esploderà nel finale. Come nei più classici film horror degli anni ’70, inoltre, Shining ha dalla sua parte il fascino del mistero, della non visibile ma presente ombra del male che attraversa qualsiasi barriera e scatena la sua furia senza esagerare in scene gore o splatter, ma divampa in una crescente tensione, un modo di fare cinema che è stato dimenticato nel tempo e che a distanza di anni non ha mai perso il suo inestimabile valore. L’Esorcista (1973), Rosemary’s Baby (1968), Il presagio (1976), Changeling (1979) ne sono una prova più che concreta. Shining rappresenta un sigillo di quell’epoca, la lezione di Kubrick su come si gira un vero thriller soprannaturale, come si devono utilizzare i carrelli, le riprese aeree, i lunghi piani ecc. La musica è stata affidata a più menti, le quali hanno saputo leggere perfettamente l’anima di Kubrick e il risultato lo si può riscontrare nei vari momenti del film. Shining, quindi, è più una prova sperimentale che un progetto cinematografico, una dimostrazione di eccellenza per un genere meno apprezzato dalla critica. Kubrick assieme a Nicholson hanno dimostrato al mondo come si crea un film horror.
★★★★★
5 risposte a "Shining (1980)"