Come nella maggior parte dei casi, quando si ha a che fare con un film la cui trama non è eccelsa ma si dispone di grandi attori, il risultato non è mai scarso. Robert Redford, in un eccezionale stato di forma, rispolvera in parte il suo vecchio personaggio Brubaker e lo pone di fronte ad un bravissimo James Gandolfini, spietato e perdente, in un’epica battaglia che non può sconfinare oltre le indistruttibili mura di un carcere militare. Il castello è una fatica firmata Rod Lurie (The contender), che vanta le performance di un ancora non famoso Mark Ruffalo, l’ottimo Clifton Collins Jr. e il veterano Delroy Lindo. Il film, flop ai botteghini, ha vinto il particolare permio “Best fire stunts” per la miglior scena esplosiva in cui sono stati coinvolti stuntmen professionisti.
Eugene Irwin, popolare generale dell’Esercito degli Stati Uniti, viene condannato dalla corte marziale per aver infranto gli ordini e causato la morte di otto uomini. La condanna è stabilita in un periodo di reclusione di 10 anni da scontare in un carcere militare di massima sicurezza. Direttore del carcere è il colonnello Winter, grande ammiratore del generale Irwin, ma che cambia opinione subito dopo l’accoglienza: il colonnello non ha mai partecipato ad una battaglia e viene ferito dai commenti del generale sulla sua collezione di reperti bellici, considerati oggetti senza valore per un combattente. Non tutti i carcerati porgono ad Irwin il rispetto che merita un uomo del suo valore, ma un poco alla volta riesce ad attirare le simpatie degli altri prigionieri. Il detenuto Aguilar più volte porge il saluto militare al generale e verrà punito severamente dal colonnello Winter, facendolo rimanere in posizione di saluto militare per tutta la notte sotto un’incessante pioggia. La pratica di saluto è infatti vietata dalle regole carcerarie e Irwin si ritroverà a contraddire i metodi adottati, finendo a sua volta punito. Continuando a vedere atti di crudeltà all’interno del penitenziario, Irwin tenta di unire i detenuti attraverso la ricostruzione del vecchio muro del castello, infondendo fiducia agli altri e formando intorno a lui un nuovo battaglione di commilitoni: i carcerati, legati dalla stessa sorte e dall’amicizia. Winter non gradisce la formazione di questo nuovo gruppo e ordina la distruzione del muro con un bulldozer di fronte a tutti i carcerati. Aguilar si oppone ponendosi di fronte al mezzo e viene ucciso da un proiettile di gomma sparato alla testa, su ordine di Winter. Dopo la morte di Aguilar il muro viene distrutto e questi eventi uniscono ancora di più l’animo dei detenuti che ricominciano la costruzione, costringendo Winter a cercare un compromesso con il generale, ma Irwin rifiuta chiedendo le sue dimissioni. Dopo aver studiato le mosse di attacco delle guardie carcerarie mentre era in visita il generale Wheeler, Irwin decide di occupare il castello per forzare la rimozione del direttore ed avviare un’inchiesta giudiziaria sugli eventi accaduti. Il detenuto Yates, fingendosi spia, riesce a prendere la bandiera dall’ufficio del direttore ed avvia gli attacchi. Con vari mezzi i detenuti riescono a bloccare le forze di sicurezza, distruggere le torri e occupare il cortile…
Che sia stato un flop o un successo, il film di Lurie rispecchia uno schema classico e non è sprecone: ai fini pratici, l’azione (che è presente) è probabilmente l’ultima cosa che interessa lo spettatore, a differenza dei personaggi. Lo scontro tra Redford e Gandolfini, praticamente immediato, è una gara attoriale, campi e controcampi inevitabili fatti di botta e risposta e che sviluppano una guerra prima verbale e poi sul campo di battaglia in un contesto dove la gerarchia militare si ribalta: Redford, generale dell’esercito ma detenuto per crimine militare deve sottostare al represso Winter, più basso di grado ma direttore del carcere. Il film non vuole ma soprattutto non deve lasciare il più retorico dei messaggi per i militari detenuti che hanno la chance della redenzione, ma si impegna per focalizzare l’attenzione sui due comandanti. Buona la prova di Ruffalo che si ritaglia una bella fetta e notevole è quella di Collins Jr. Rispetto ad una prima parte fatta di tensione umana, la seconda esalta troppo gli stereotipi stelle e strisce e trasforma il tutto in un circo dove a fare da padrone è il pessimo Brian Goodman. Gli sforzi di Redford e Gandolfini salvano però il film da una miserabile sconfitta. Elegante la fotografia di Shelly Johnson. Musiche di Jerry Goldsmith e Tom Waits. Cameo di Robin Wright.
★★★☆☆