Poltergeist di Tobe Hooper è un film bivio, una pellicola che può apparire letteralmente una buffonata pacchiana, ma in realtà racchiude un nuovo spirito di intrattenimento, brividi e suspance alleggeriti da risate dal sapore familiare. Un film che ha sicuramente anticipato le emozioni di un cult come Ghostbusters (1984) e che ha avuto due seguiti (Poltergeist II – L’altra dimensione, 1986 e Poltergeist III – Ci risiamo, 1988) una serie televisiva spin-off e un remake del 2015. Nel cast troviamo la giovanissima Heather O’Rourke (prematuramente scomparsa nel 1988 a causa del Morbo di Crohne e subito dopo le riprese del terzo film), Craig T. Nelson, Jobeth Williams, James Karen e Zelda Rubinstein. Scritto da Steven Spielberg e prodotto da Steven Spielberg e Frank Marshall, il film di Hooper (Non aprite quella porta, 1974) ebbe un enorme successo: un incasso di 125 milioni totali contro un budget di soli 11.
Nella tranquilla cittadina californiana di Cuesta Verde vivono i Freelings, una famiglia composta da Steve e Diane, con i loro tre figli, Dana, Robbie e la piccola Carol Anne. La loro quieta esistenza viene turbata una notte, quando Carol Anne viene sorpresa a parlare, da sola, rivolta allo schermo del televisore, e poco dopo annuncia ai genitori: “Sono arrivati!”. Da quel momento strani fenomeni di natura soprannaturale iniziano a manifestarsi nella loro casa. La famiglia non sembra particolarmente spaventata, almeno finché, durante un violento temporale, Robbie non viene catturato da un albero del giardino i cui rami lo strappano a forza dal proprio letto, quasi animati di vita propria. Mentre la famiglia cerca di trarre in salvo il ragazzino, Carol Anne, rimasta sola nella sua cameretta, viene risucchiata da un vortice luminoso apparso dal nulla e scompare senza lasciare traccia. Quando ormai i familiari disperano di trovarla, la sua voce si fa sentire appena percettibile attraverso l’audio del televisore, soffocata dai rumori di fondo. Steve non ha più scelta, e seppure scettico, decide di rivolgersi ad un gruppo di studiosi di parapsicologia, che non tardano a convincersi che la casa dei Freelings è teatro di sorprendenti fenomeni paranormali. A questo punto non resta che invocare l’intervento di una medium, che offre una spiegazione convincente di quello che sta accadendo, anche se inevitabilmente irrazionale. Carol Anne è stata misteriosamente strappata dalla realtà quotidiana, ed è prigioniera in un ineffabile ed invisibile limbo, collocato a metà strada tra il mondo concreto dei vivi e quello eterno dell’aldilà. In questa sorta di territorio intermedio si raccolgono anche le anime dei trapassati che non hanno ancora potuto convincersi di non essere più vive, e vagano inquiete senza rassegnarsi ad imboccare il sentiero di luce che li porterebbe verso un nuovo stadio dell’esistenza. In questo territorio intermedio si è insediata tuttavia anche una paurosa entità demoniaca, una sorta di parassita psichico che si approfitta e si nutre dell’energia spirituale delle anime dei fantasmi sue prigioniere, ma che in seguito ha trovato in Carol Anne una preda più vivida e più forte di cui servirsi. Questo mostruoso avversario tiene vicina a sé la bambina, nonostante lei non sia morta e non appartenga dunque a quella dimensione, e se ne serve come esca per trattenere anche tutte le anime dei morti. Con un rito esoterico, la medium permette a Diane, la madre, di avventurarsi a sua volta fisicamente attraverso questa dimensione eterea, di trovare la bambina e di riportarla all’esistenza concreta. Non solo: la donna riesce a guidare spiritualmente le anime disperse dei defunti che sono raccolte intorno alla casa ad avviarsi verso la luce eterna, lasciando quel luogo intermedio in cui per tanto tempo sono rimaste intrappolate.
Nel frattempo Steve ha scoperto che l’impresa edile che ha edificato la loro casa, presso cui anche lui lavora, per bieche ragioni di risparmio ha costruito il complesso edilizio sul terreno di un vecchio cimitero, senza curarsi di trasportare altrove le tombe. In altre parole, l’amena abitazione dei Freelings è stata costruita su un camposanto abbandonato. Quando tutto sembra risolto per il meglio…
Hooper, abituato a contesti cinematografici di medio-bassa qualità in cui la sua grande capacità era quella di sorprendere con effettacci speciali caserecci il pubblico, qui si ritrova a dover gestire una grande produzione con a capo Spielberg, in quegli anni visto come un Re Mida del cinema. Due universi a confronto quindi, da una parte il geniale maniscalco che riusciva ad impressionare con quel poco che aveva, dall’altra il genio industriale amato dall’Academy con un attento occhio al profitto più che all’ottimizzazione dell’idea. Poltergeist è in fin dei conti un connubio unico nel suo genere, un vero e proprio film horror per famiglie, con protagonista una famiglia, una storia in cui nessuno ci rimane secco ma in cui tutti quanti se la fanno davvero addosso. Ci sono quindi riferimenti al cinema hooperiano di splendido impatto splatter (l’esperto del paranormale che mangia vermi o il volto scarnficato sono gli esempi più lampanti) e momenti di horror molto soft (l’albero che si anima, il pupazzo nella camera da letto). Il risultato complessivo ricorda per certi versi gli avvenimenti di Amityville Horror (1979), ma vengono affrontati in un contesto più coinvolgente e meno cupo: ci sono scene in cui si ha l’impressione di rivivere le scene casalinghe di ET. L’idea della dimensione intra-televisiva, la quale non può non farci riflettere sugli spunti raccolti dal meraviglioso mondo “omaggio” di Stranger Things, va in linea con la società di allora, in cui proprio il televisore (e i primi VHS) era l’emblema di una costante modernizzazione della famiglia standard occidentale: la TV come luogo di distrazione diventa luogo di perdizione e anche oltre.
Poltergeist è una ghost story ben collaudata, con un plot molto resistente e che raramente perde la propria tensione. Include in un modo piuttosto originale più generi, ma non si discosta mai dal tema principale senza annoiare. Sempre grande il lavoro di Jerry Goldsmith alle musiche: anche quì l’alternanza di sonorità fa intuire l’esplicita richiesta di un film non troppo disneyano e non troppo horror.
★★★✬☆
Una risposta a "Poltergeist – Demoniache presenze (1982)"