Rosemary’s baby – Nastro rosso a New York (1968)

ROSEMARY'S BABY (US1968)Se del cinema horror contemporaneo (diciamo a colori) si dovessero scegliere tre titoli, Rosemary’s baby di Roman Polanski potrebbe essere uno di questi? Se vogliamo essere pignoli, questo classico del 1968 non dovrebbe fare parte del genere horror, bensì di quello thriller anche se l’audace sceneggiatura preveda dettagli non indifferenti di matrice soprannaturale. Tratto da un meraviglioso romanzo di Ira Levin, autrice anche dell’imperdibile Un bacio prima di morire (1953), il film del regista polacco può contare su un cast di alto livello con a capo la bella Mia Farrow coadiuvata da John Cassavetes oltre che Ruth Gordon (vincitrice dell’Oscar come miglior attrice non protagonista), Sidney Blackmer, Maurice Evans, Ralph Bellamy e, tra gli altri, anche un giovane Charles Grodin. Grazie alla sua drammaticità, alla suspance ben gestita e dotato di un finale diverso dal solito, Rosemary’s baby è stato un grande successo di pubblico e critica, con un incasso pari a 33.4 milioni di dollari a fronte di una spesa di 3.2 milioni. Fece il suo esordio nel lontano 12 giugno 1968.

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A New York una giovane coppia cerca casa. Lui, Guy Woodhouse, è un attore a inizio carriera; lei, Rosemary, è una ragazza di campagna. I due trovano un ampio appartamento in un elegante palazzo: quasi tutti gli altri inquilini sono anziani. Una sera i coniugi Roman e Minnie Castevet, vicini di appartamento, invitano la coppia a cena. La sera seguente Guy decide di tornare da solo a casa dei Castevet, che cominciano ad essere molto presenti nella vita dei coniugi Woodhouse. Minnie regala a Rosemary una catenina da portare al collo. Ha una pallina che contiene una radice che emana uno strano e sgradevole odore, ma Minnie la rassicura: è un amuleto, contenente una “radice di Tannis”, che porta fortuna. La carriera di Guy riceve una svolta positiva il giorno in cui gli viene assegnata una parte importante, ma Guy non può gioire fino in fondo: gli era stato preferito un altro attore, ma quest’ultimo improvvisamente è diventato cieco. Pochi giorni dopo Guy comunica a Rosemary che vuole avere un bambino da lei. Ha già deciso la data del concepimento: fine settembre. La notte in cui la coppia deve concepire il bambino comincia con una cena a lume di candela, quando Minnie Castevet bussa alla porta: ha fatto un dolce per loro. I due lo mangiano ma a Rosemary non piace e di nascosto ne getta via gran parte. Dopo cena ha uno svenimento e Guy la mette a letto. Quella notte Rosemary vive un incubo: si vede coinvolta in uno strano festino durante il quale un essere mostruoso la possiede dopo che Guy e i Castevet gliel’hanno consegnata. La mattina dopo Guy le confessa di aver fatto l’amore con lei anche se era svenuta. Voleva metterla incinta proprio quella notte…

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Polanski, dopo il successo del grottesco Per favore non mordermi sul collo, porta il fantastico in una dimensione più tetra e drammatica, dove oltre allo sguardo inquieto della protagonista, a fare da padrone è l’edificio newyorkese in un contesto autunnale. L’innocenza della ragazza di campagna deve misurarsi con la realtà metropolitana, dove è possibile attribuire al capitalismo la metafora del diavolo, simbolo dell’accettazione nel percorso che porta il buono (la Farrow) a prostrarsi al “peccato” della realtà consumistica. Ottima la prova di Blackmer e della Gordon, la quale tornerà nel seguito (solo per la TV) Guardate che fine ha fatto il figlio di Rosemary?
Tecnicamente, oltre ad essere un film praticamente impeccabile, porta anche delle fondamentali novità nel mondo dell’horror (sempre che lo si voglia catalogare in questo genere), come il male che per tutta la durata della pellicola non si vede mai fisicamente. Gli occhi della Farrow, eccellente nel ruolo, sono quelli dello spettatore che si troverà a dover distinguere realtà e immaginazione fino alle numerose rivelazione che lo traghetteranno al finale atipico.

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La scelta narrativa della Levin e, di conseguenza, la sceneggiatura di Polanski, è di forte impatto e ci tocca immediatamente: la partenza ricca di buoni sentimenti e i maliziosi sorrisi della coppia Woodhouse, condita da una melodia felice di Krzysztof Komeda, si incrina dopo poco e inizia la discesa nell’incubo con un crescendo di paranoia e drammaticità fino all’epilogo.
Rosemary’s baby, quindi lo si può inserire nella famosa lista dei tre di cui sopra? Io dico di no. Rosemary’s baby va oltre la famigerata triade (che per me resta composta da L’esorcista, Il presagio e La notte dei morti viventi), poichè stana con garbo le angosce del nostro animo in modo differente, senza spargimenti di sangue, senza scene raccapriccianti, usando il dramma tangibile e ci riesce lo stesso, paradossalmente anche meglio. Rosemary’s baby è semplicemente un capolavoro del cinema.

★★★★★

 

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