Il meme di Family Guy che mostra un simpatico Harrison Ford che getta i paracadutisti da un bi-elica con la frase “Scendi dal mio aereo!” (vedi link in basso) ci fa capire che Air Force One è stato un film simbolo, per carità…non un grande film, ma un titolo che ci è rimasto un pò impresso. Era il 1997 in fin dei conti e di tempo ne è passato. Le strade di Ford e Oldman si sono incontrate solo quella volta per poi separarsi per progetti sicuramente più importanti. E poi alla regia c’era Wolfgang Petersen, che in carriera ci ha lasciato tutti film commerciali quanto discutibili, divertenti da vedere ma spesso deboli. Vabbè torniamo sull’aereo del Presidente. Nel cast troviamo una ottima Glenn Close, Wendy Crewson, Paul Guilfoyle, William H. Macy, Jurgen Prochnow e Dean Stockwell. Prodotto dalla Columbia Pictures e Beacon Pictures e distribuito dalla Buena Vista International, questo action anni ’90 ha incassato ben 315 milioni di dollari contro una spesa di 85 (tanto per l’epoca). La critica fu particolarmente positiva e fu interessante sapere che Ford è stato considerato il più grande Presidente cinematografico di sempre.
Il presidente degli Stati Uniti d’America James Marshall e la sua famiglia sono in viaggio sull’aereo presidenziale, l’Air Force One, insieme ad alcuni componenti dello staff presidenziale. Non sanno, però, che un gruppo di spietati terroristi kazaki guidati da Egor Korshunov, si sono imbarcati segretamente. Questi ultimi hanno come fine la liberazione del dittatore del loro paese, il generale Ivan Radek, catturato dalla Delta Force e dalla Specnaz e tenuto prigioniero nelle carceri russe. Al momento dell’irruzione, i terroristi eliminano gran parte delle guardie del corpo e alcuni membri dello staff del presidente, cosicché quest’ultimo viene fatto salire sulla capsula di salvataggio, che viene espulsa dall’aereo. Poiché, apparentemente, il presidente è stato messo in salvo, il malvagio Korshunov inizia ad uccidere ad uno ad uno i passeggeri dell’aereo, nell’attesa che le sue richieste vengano accolte da Washington. Solo grazie all’intervento dello stesso Presidente che, in realtà, non aveva mai abbandonato l’aereo, la situazione si risolve per il meglio. Prima, infatti, permette ai suoi collaboratori di lasciare l’aereo, poi, ad uno ad uno, comincia ad uccidere i rapitori, compreso Korshunov, e per finire riesce a riprendere completamente in mano il controllo dell’Air Force One; viene ucciso anche il dittatore, in procinto di essere liberato…
Da un certo punto di vista, il non sapere l’orientamento politico del Presidente Marshall mi ha sempre lasciato un vuoto: Harrison Ford sembra proprio un democratico millantatore, con l’aspetto del partigiano ma con il mood da mercenario (e poi lo è pure stato) di destra. Il film è divertente, poco da dire. Ha un cast grintoso e il cattivo Gary Oldman è cattivo davvero, determinato, cosciente e spavaldo. Quando entra in scena Glenn Close (vice Presidente) si alza ancora di più il livello qualitativo perchè l’attrice ha veramente molta grinta. Se non ci fosse la figura del Presidente e dell’atto terroristico sull’aereo più sicuro al mondo, il film di Petersen dovrebbe accodarsi ai già famosi Passenger 47 (1992) e Decisione critica (1996), film in cui l’azione prende vita proprio all’interno di un aeroplano. Davvero importante è il lavoro di Jerry Goldsmith alla colonna sonora. Il buon vecchio maestro ci regala una grande overture e poi è solo alta scuola. Le scene d’azione sono ben congegnate se si considerano gli spazi così stretti così come la tensione che regge bene per più un’ora. Male invece la retorica e tutto il carnet di atti di sacrificio per salvare il nostro Han Solo in giacca e cravatta: c’è un livello di patriottismo che dilaga, esagera, diventa goffo e non fa nulla per prendersi in giro. Il problema di base è che questo film ha un ritardo di distribuzione di circa dieci anni: un Presidente reduce del Vietnam, l’amore viscerale per la famiglia (ma quando mai…), non negozia manco per un cazzo con i terroristi, afferra il fucile ed entra in azione…fosse uscito nel 1989 (faccio per dire) avrebbe certamente lasciato il segno, ma nel 1997 soffre davvero tanto. Tanta nostalgia, ma c’è di meglio.
★★★☆☆