Sono passati ben 18 anni dall’uscita di Alien di Ridley Scott e altrettanti ne sono passati da The black Hole di Gary Nelson (il film Disney), quando il regista Paul W. S. Andreson – il quale dirigerà in seguito il primo Resident Evil e ben tre seguiti – con il supporto dello sceneggiatore Philip Eisner, riporta la paura nello spazio con una storia che sembra miscelare i due titoli sopra citati supportato da un cast di livello e da una squadra di tecnici decisamente all’altezza della situazione. C’è Lawrence Gordon a metterci i soldini e Paramount alla distribuzione internazionale e non, quindi il prodotto non è certamente da scartare a prescindere.
Nel cast, in ordine di importanza ci sono Lawrence Fishburne e Sam Neill in primis, poi sicuramente vanno citati Kathleen Quinlan, Joely Richardson, Jason Isaacs e Richard T.Jones. Nonostante le buone premesse il film, uscito in pieno agosto del 1997 si rivelò un flop, ma con il tempo si è ritagliato l’etichetta di film cult soprattutto dai tanti gamers e successivamente è anche divenuto fonte di ispirazione per vari videogames.
Nell’anno 2047 una trasmissione rivela l’insperata riapparizione dell’astronave Event Horizon, ufficialmente andata distrutta in seguito ad un incidente sette anni prima. Viene così inviata a investigare l’astronave di soccorso Lewis and Clark, con il suo equipaggio costituito dal capitano Miller, il tenente Starck, il pilota Smith, l’ufficiale medico Peters, l’ingegnere Justin, il dottor D.J., l’esperto in tecniche di soccorso Cooper e, infine, il dottor William Weir. Dopo il lungo viaggio alla volta del pianeta Nettuno, nella cui orbita è riapparsa la Event Horizon, il dottor Weir rivela al resto della squadra di essere il costruttore dell’astronave e che quest’ultima, in realtà, era il risultato di un progetto segreto con lo scopo di realizzare un mezzo capace di oltrepassare la velocità della luce. Weir spiega di aver dotato la Event Horizon di un trasferitore gravitazionale: quest’ultimo è in grado di generare un buco nero artificiale, la cui gravità viene usata per curvare lo spazio-tempo e permettere così all’astronave di saltare verso un qualsiasi punto dell’universo. Raggiunta però la distanza di sicurezza e aperto un ingresso dimensionale alla volta di Proxima Centauri, la Event Horizon sparì senza lasciare traccia. La sola trasmissione pervenuta dopo il ritorno dell’astronave è un audio confuso in cui si distinguono grida terrificanti e una voce che, secondo D.J., pronuncia la frase latina liberate me (“salvatemi”). Saliti a bordo della Event Horizon, i membri della squadra di soccorso rinvengono evidenti tracce di un massacro e strane letture che indicano forme di vita imprecisate e diffuse in tutta l’astronave. Justin entra nella sala motori, dove il trasferitore gravitazionale si riattiva autonomamente risucchiandolo nell’ingresso dimensionale risultante. Subito dopo, una violenta onda d’urto fuoriesce dal trasferitore danneggiando gravemente la Lewis and Clark e costringendone l’equipaggio a rifugiarsi sulla Event Horizon…
Se da un lato non si possa dire nulla per scenografie, fotografia e la sempre utilissima collaborazione di Michael Kamen alle musiche, lo stesso non si può dire per il rapporto scaturito fra una sceneggiatura interessante e il cast. I tanti buoni nomi presenti nel film di Anderson sembrano spesso smarriti, lontani da un’interpretazione all’altezza della situazione – un pò come dire che visto il copia/incolla di un cast simile a quello di un Alien o anche di un Leviathan (1989) non è che ci dobbiamo sforzare così tanto da risultare molto umani, tanto i nostri personaggi sono carne da macello – e quindi tutta la tensione che si accumula (e anche bene) non viene sfogata su dei personaggi ai quali riusciamo ad affezionarci. Certamente il più interessante di tutti è di sicuro quello di Sam Neill, magicamente sospeso fra lo scienziato ossessionato dalla sua creatura e il soggetto affascinato/impaurito, mentre il resto della crew è in sostanza quanto detto prima, si è più o meno nella stessa situazione di film già visti e nemmeno una grande attrice come Kathleen Quinlan può spostare l’ago della bilancia: in fin dei conti non è un film di Woody Allen.
Il problema maggiore è anche il crollo della tensione che conquista nella prima parte e che viene frantumato nella seconda, momento in cui la furia mortale dell’entità aliena divampa, quindi spazio a morti efferati e allo splatter gratuito. Resta comunque un bel prodotto fanta-horror in cui se Anderson avesse scommesso un pò meno sulle immagini forti e un pò più sui presagi, probabilmente questo titolo sarebbe ricordato molto di più. Punto di non ritorno è quindi un valido prodotto che vale la pena di essere rivisto anche a distanza di 23 anni.
★★★☆☆ (vale come 6,5)