Nel 1981, ad Hollywood, il signor Steven Spielberg è probabilmente il nome più vicino al termine “successo”. Il regista è reduce degli incredibili incassi ottenuti con I predatori dell’arca perduta e si appresta a lavorare ad uno dei suoi più grandi film Et, che vedrà la luce solo alla fine del 1982. Tra la fine degli anni settanta e la fine degli ottanta, Spielberg sarà impegnato frequentemente anche nelle vesti di produttore esecutivo di molti titoli rimasti negli annali, basti pensare a Gremlins, I Goonies o Ritorno al futuro. Nell’autunno del 1981 il regista Tobe Hooper, che alcuni anni prima aveva diretto l’indimenticabile horror Non aprite quella porta, si appresta a mettersi dietro la macchina da presa su suggerimento dello stesso Spielberg per dirigere Poltergeist, film che darà inizio ad una trilogia ormai definita classica, seguita da uno spin-off televisivo del 1996 e da un remake discutibile nel 2015. Oltre a Spielberg troviamo alla produzione anche gli inseparabili Frank Marshall e Kathleen Kennedy.
Il 1986 è l’anno dell’atteso sequel, ma la sedia più importante non spetta a Hooper, bensì a Brian Gibson, regista che godrà di una esaltante carriera. Nel cast tornano la bella JoBeth Williams, Craig T Nelson, la curiosa figura di Zelda Rubinstein, Will Sampson e ovviamente la piccola protagonista della storia Hearther O’Rourke, che morirà due anni dopo per alcune gravi complicazioni dovute alla giardiasi per la quale soffriva. La bimba dai capelli biondissimi riuscì a terminare il terzo capitolo dlla saga, ma non riuscì mai a vederne il montaggio finale.
Il film di Gibson ottenne un buon successo ma assai lontano dalle cifre del predecessore.
Steve e Diane Freeling, con i figli Robin e Carol Anne (la figlia maggiore, Dana, si è trasferita altrove per impegni universitari), si sono temporaneamente trasferiti nell’abitazione della madre di Diane dopo la scomparsa della loro casa causata, un anno prima, dallo scatenarsi dei fenomeni di Poltergeist. Nonostante l’apparente spensieratezza, la famiglia non si è del tutto ripresa: Steve, dopo aver perso il lavoro, è costretto a fare il rappresentante di aspirapolveri e sia lui che il resto della famiglia convive con il terrore dei televisori (anche se Robin ne vorrebbe tanto uno). Oltretutto la compagnia di assicurazione non è disposta a risarcire la loro vecchia casa che non esiste più. Carol Anne sembra star bene in casa della nonna la quale confessa alla bimba di avere dei poteri di chiaroveggenza e che degli stessi poteri è dotata anche lei.
La madre di Diane muore improvvisamente ma Carol Anne non ne è sconvolta: la notte precedente, col suo telefono giocattolo, aveva parlato con la nonna già nell’aldilà.
Una notte i fenomeni di poltergeist si scatenano nuovamente con la famiglia Freeling costretta ad abbandonare in fretta e furia la casa. Dopo una nottata in un bar, rientrano in casa assieme a Taylor, un nativo americano dotato di grandi capacità sovrannaturali, mandato da Tangina Barros, l’eccentrica sensitiva che li aveva aiutati un anno prima. L’indiano si stabilizza in casa e spiega come lottare contro questi fenomeni…
Poltergeist II, per quanto possa essere a tratti alcune indimenticabili sequenze – alcune decisamente spaventose e disgustose, si rivela essere un mix di noia e rimpianti poichè giocato su una sceneggiatura debole nelle variabili narrative ma forte delle proprie potenzialità ereditate dal primo film. E’ intrigante sì, ma tende a sgretolarsi subito dopo, non riesce a tenerci incollati sulla poltrona: la sceneggiatura (non più di Spielberg) del duo Mark Victor e Michael Gras sviluppa temi interessanti come l’ampliamento della storia sotto l’abitazione dei Freeling ma genera personaggi assai stereotipati e privi di passione. Di tutta la squadra tecnica che lavorò al primo film resta solo Jerry Goldsmith alle musiche e il risultato si vede piuttosto bene, non si può paragonare al film precedente, ma vale la pena godersi la visione se ci dovesse capitare per sbaglio durante un cambio canali.
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