Sul grande schermo, la carriera di Gregory Hoblit è partita in ritardo rispetto alla media. Dopo un percorso professionale che lo ha visto dedicarsi alla televisione con show come Hill street giorno e notte e L.A. law, il suo esordio al cinema avviene con il discreto thriller Schegge di paura (1996), il quale non soddisfa pienamente la critica ma, grazie alla nomination agli Oscar per l’allora giovanissimo Edward Norton, Hoblit ha modo di proseguire il suo percorso grazie a titoli come Frequency – Il futuro è in ascolto (2000) e Il caso Thomas Crawford (2007). Nel 1998 il regista texano concentra la sua attenzione sul suo secondo lungometraggio dal nome Il tocco del male (1998), potendo contare su un cast di prima classe come Denzel Washington, John Goodman, Donald Sutherland, Embeth Davids, Elias Koteas, James Gandolfini, Robert Joy e Reno Wilson. Il film di Hoblit si rivelò un flop al botteghino (si parla di circa 35 milioni di dollari di perdita) e nemmeno la critica fu magnanima.
John Hobbes è un virtuoso poliziotto che incastra e fa condannare a morte un pericoloso serial killer, Edgar Reese. Quello che il detective non sa, è che lo psicopatico in realtà è posseduto dal sanguinario demone Azazel e che gli omicidi che ha commesso sono stati compiuti tutti sotto il suo influsso malefico. Dopo l’esecuzione, Hobbes pensa di continuare tranquillamente la sua esistenza, lavorando nel distretto di polizia con il tenente Stanton e i detective Lou e Jonesy, migliore amico di Hobbes. Ma da quel momento il demonio, non potendo impossessarsi del corpo del poliziotto, incomincerà a perseguitarlo, in un susseguirsi di omicidi che coinvolgeranno sconosciuti e familiari di Hobbes, e che metteranno ben presto il poliziotto all’angolo. Sfruttando le ricerche di un suo predecessore, l’esemplare poliziotto Robert Milano, scomparso in circostanze misteriose anni prima, Hobbes scopre che Azazel si può sconfiggere, anche se a costo della propria vita. Il demone infatti può traslare da un corpo a un altro, e prenderne il controllo, tramite il semplice tocco…
Sebbene la sceneggiatura di Nicholas Kazan e Elon Dershowitz assembli una serie di elementi sfruttati da altre storie precedentemente raccontate (Seven, Twin Peaks, Sotto shock), le premesse di questo Fallen sono assai interessanti, sia per un’ottimo mix di musiche e fotografia, sia per un’incalzante atmosfera degna dei migliori thriller anni ’90. Tuttavia, dopo la prima ora di visione, sulle resistenti fondamenta narrative viene eretta una storia traballante votata all’eterno scontro fra bene e male con la solita soluzione indicata nella Bibbia e con passaggi obbligatori che trasformano un entusiasmante thriller in una farsa horrorifica dove, per l’ennesima volta troviamo il detective senza macchia e senza paura a combattere il maligno spiritico. Ahimè è un gia visto e il sontuoso cast non riesce a tenere in piedi l’ultimo atto del film: le defezioni maggiori riguardano le spalle Goodman e Sutherland che soffrono dei ruoli a loro congeniali ma troppo superficiali, senza acuti interessanti e, quindi maldestramente sprecati. Interessante, invece, la scelta della canzone dei Rolling Stones “Time is on my side” che passa di persona in persona quando Azazel si trasferisce in un altro corpo, specialmente quando lo fa davanti allo stupito Hobbes.
Per il resto Hoblit fa un buon lavoro, costruendo un plot molto affascinante (oggi sarebbe stato perfetto per una serie) condito da un finale più che interessante. A conti fatti, Fallen resta un discreto thriller paranormale che gestisce male il turning-point (come spesso accade alle sceneggiature deboli) ma che sa dosare bene i tanti elementi ereditati dalle storie raccontate in passato. Pertanto è una visione raccomandata se non c’è di meglio da vedere.
★★★☆☆