Willow (1988)

Willow_0Il tono saggio di quell’incredibile personaggio che è stato Renato Izzo, attore stimato e soprattutto uno dei più grandi direttori del doppiaggio in Italia, nell’estate del 1988 ci guidava nel mondo di Willow (il trailer ne annunciava l’uscita nelle sale italiane a due giorni da Natale), pellicola fantasy diretta da Ron Howard – simbolo della nuova generazione di cineasti dell’Academy sorretto dal successo del primo Cocoon (1985) – e scritta da George Lucas nel periodo a cavallo fra Il ritorno dello Jedi (1983) e Indiana Jones e l’ultima crociata (1989). Nel cast un giovanissimo Warwick Davis futuro insegnante ad Hogwarts, Val Kilmer (che aveva già interpretato Iceman in Top Gun) e Joanne Whalley: a questi si uniscono volti noti come Patricia Hayes, Pat Roach e Kevin Pollak. Ron Howard portò la pellicola fuori concorso a Cannes 41 e il film si aggiudicò l’Hugo Award per miglior rappresentazione drammatica e il Saturn per i migliori costumi, oltre alle due candidature agli Oscar 1989. Costato ben 35 milioni di dollari ne intascò 137 in tutto il mondo. Sicuramente remunerativo il commercio home-video nelle varie versione uscite nel corso degli anni. 

Willow Ufgood è un contadino di un piccolo villaggio di Nelwyn (nani) che aspira a diventare uno stregone. Un giorno trova una bambina Daikini (cioè umana) che scopre poi chiamarsi Elora Danan, abbandonata sul fiume. La bimba è una principessa predestinata a sconfiggere la malvagia strega e regina Bavmorda, che in precedenza aveva fatto uccidere la madre e la nutrice della bambina per scampare alla profezia. Willow, dal cuore buono, deve portare la bambina dal suo popolo ma dovrà affrontare mille peripezie. Con l’aiuto del guerriero Madmartigan, di due gnomi e dell’anziana strega Fin Raziel (intrappolata in forma animale) e più tardi anche di Sorsha (figlia di Bavmorda ma innamorata di Madmartigan), Willow affronterà e sconfiggerà la strega. In seguito alla caduta di Bavmorda, Elora Danan sarà cresciuta da Madmartigan e Sarsha, nuovi sovrani, e Willow, concluso il suo compito potrà tornare presso la sua gente e la sua famiglia.

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Come nel più famoso Il signore degli anelli, Willow è la storia di un viaggio e come per Frodo Baggins, il giovane nano, grazie al supporto dei suoi amici, riuscirà ad arrivare a destinazione con un bagaglio di saggezza superiore di quando aveva lasciato Newlyn.
Non si può non empatizzare con un titolo che pesa come un macigno nell’immaginaria nostalgi-teca, Willow è un a voce immancabile in questa categoria, ma il film di Ron Howard non è perfetto e la battaglia (stra)persa agli Oscar contro Chi ha incastrato Roger Rabbit (Zemeckis+Spielberg) si spiega piuttosto bene da un’evidente confusione di sottotrame che non riescono ad amalgamarsi, come funzionò invece per Guerre stellari.
Willow sarebbe infatti dovuta essere la terza creatura nata dalla mente di Lucas e, la scelta di Howard come regista (forse troppo poco giocherellone), ha causato in parte i danni che hanno di fatto ostacolato l’estensione del suo universo narrativo – era previsto un immediato sequel ma venne cancellato dalla produzione.

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Di dichiarata ispirazione Tolkeniana e con dei validi effetti speciali (ILM), Willow non incanta e per certi versi annoia, sebbene ci siano molti presupposti per renderlo avvincente e potente. Se Davis, Kilmer e Whalley (futura moglie del secondo) siano dei giovani buoni attori, il gioco del trio e dei due gnomi accompagnatori non funziona come dovrebbe (si tentò di replicare ciò che avvenne in Star Wars). La stessa sorte vale per l’antagonista Bavmorda (Jean Marsh), cattiva ma senza il “che”. Con tutta probabilità è una questione di sceneggiatura, a tratti troppo seriosa e inquietante, in altri bambinesca e gigiona e di questo ne fa le spese lo spettatore del 1988: Willow non può essere apprezzato da un pubblico over 18 (troppo adulto per una storia del genere) ne dagli under 14 (troppo impressionabile per alcune sequenze).

Nel rivederlo per la terza volta, Willow sa davvero di una grandissima occasione persa, perchè di lì a poco il genere fantasy si sarebbe rifatto sotto (prima con il sottovalutato Dragonheart del 1995 e poi ovviamente con i due colossi Tolkeniani di Jackson). Lucas aveva anticipato troppo i tempi e si è ritrovato con un progetto molto ambizioso che non ha trovato spazio nell’immaginario collettivo di quegli anni così ricchi di storie da raccontare.
A questo punto, alcuni di voi si staranno chiedendo il perchè allora del successo di un fantasy come The princess bride (1987) o di Ladyhawke (1985): la risposta, a mio parere, risiede nella semplicità delle sottotrame nonchè nella gestibile caratterizzazione di personaggi e del rapporto che si crea fra loro. Sia Rob Reiner che Richard Donner, essendo due vecchi mestieranti di cinema commerciale hanno saputo far amalgamare più elementi nel proprio calderone e hanno scelto di non strafare. Howard (ma probabilmente per il volere dello stesso Lucas) non ha avuto freddezza nel gestire con cura i tanti dettagli di un universo ex-novo che vive di panorami, inala musica epica e si gonfia con i suoi effetti speciali all’avanguardia. 
Fatto sta che Willow è un titolo che dispone di un cast tecnico di prima qualità – fotografia, scenografia, costumi, effetti, trucco, colonna sonora sono impeccabili – e di un cast assolutamente all’altezza della situazione. È una trasposizione da soggetto totalmente originale che non deve in alcun modo essere affrontato seriamente ma con spensieratezza. Di buono c’è da dire che essendo ambientato in un periodo simil-medioevale, Willow non risente molto del tempo che passa e, giustamente, nel corso degli anni, si è accaparrato di un grande fandom.

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Ad oggi, metà 2021, il pubblico è pronto per l’atteso sequel, un progetto che da anni stuzzicava la Lucasfilm ltd e che a breve sarà presentato su piattaforma come una serie. Insomma, a onor del vero il lavoro di Howard sembra aver funzionato, anche se non nell’immediato.

★★★☆☆

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