Giusto il tempo di dirigere il piccolo ma interessante Prova schiacciante del 1991 che Wolfgang Petersen, tedesco trapiantato a Hollywood dopo il suo exploit con La storia infinita, gemma fantasy del 1984, si ritrova al cospetto di un veterano come Clint Eastwood, esperto regista e attore e in attesa di un trionfo con il suo Unfogiven – Gli Spietati (1992). La storia è affidata a Jeff Maguire che riuscirà a collaborare a stretto giro con il servizio segreto, pertanto, a trovare numerosi spunti per una storia avvincente. Petersen, dopo un tentativo di seduzione non positivo nei confronti di Robert De Niro per il ruolo del villain, riesce ad arruolare John Malkovich per poi proseguire con Rene Russo, Fred Dalton Thompson, John Mahoney e Dylan McDermott. Nel cast figurano anche molti caratteristi tra cui spiccano un ancora sconosciuto Tobin Bell e John Heard.
Non vincerà premi rilevanti ma Nel centro del mirino, come semplice film d’intrattenimento, riuscirà ad ottenere ben tre candidature agli Oscar: miglior sceneggiatura originale, miglior attore non protagonista e miglior montaggio.
Uscito nel luglio del 1993 incasserà la bellezza di 187 milioni di dollari per un budget di 40, confermando così le qualità di Petersen che avrà poi modo di dirigere una squadra di premi Oscar nel drammatico Virus Letale (1995).
Frank Horrigan è un agente dei servizi segreti con una lunga esperienza alle spalle. Nel 1963 era addetto alla scorta personale di John Fitzgerald Kennedy, ma a Dallas non riuscì a proteggere il presidente e da allora è tormentato dai sensi di colpa. L’occasione giusta per il riscatto gli si presenta quando viene individuata una nuova minaccia nei confronti del presidente in carica, minaccia rappresentata da Mitch Leary, che Frank soprannomina Booth (il nome dell’assassino di Abraham Lincoln). Una sera Frank riceve una telefonata dal killer, il quale lo informa della sua intenzione di assassinare il presidente e sfida Frank a fermarlo. Dopo essersi fatto assegnare alla scorta del presidente, Frank riceve altre telefonate da Leary, il quale lo sfida a una vera e propria partita, che terminerà solo se Horrigan riuscirà a salvare il presidente.
Leary lascia dietro di sé una scia di sangue, cambiando varie volte identità, finché, durante l’ennesima telefonata a Frank, viene localizzata la sua posizione. Dopo un inseguimento sui tetti di un edificio, durante il quale Leary uccide a sangue freddo l’aiutante di Frank, i due avversari si trovano finalmente faccia a faccia: nel tentativo di saltare da un edificio all’altro, Frank riesce a malapena a trovare un appiglio e, mentre le forze lo vanno abbandonando, viene soccorso proprio dal suo antagonista, il quale lo pone di fronte a un bivio: sparargli e salvare il presidente, precipitando però nel vuoto, oppure lasciarsi salvare la vita. Horrigan non spara e Leary lo salva, ma, nella telefonata successiva, i due hanno un animato confronto quando Leary insinua che forse anche a Dallas l’agente aveva mostrato titubanza e aveva preferito sopravvivere.
L’eccesso di precauzioni provoca l’espulsione di Frank dalla scorta, ma le indagini intanto proseguono, rivelando come Leary in passato abbia vissuto sul lavoro vari delusioni e tradimenti, diventando così determinato a vendicarsi degli uomini e della società….
Il film di Petersen si guarda tutto d’un fiato, sarà anche datato ma ha un ritmo formidabile che basa molto la propria identità sul confronto fra i due personaggi più che sulle scene d’azione. I personaggi di Horrigan e Leary sembrano quasi isolarsi dal mondo che li circonda e dall’epilogo ovviamente drammatico: se da una parte il burbero (ma non troppo) Eastwood ci regala una performance simil Dirty Harry ma con qualche sorriso in più, lontano dai cupi anni settanta, Malkovich è un esempio da portare alle cattedre di recitazione per come si coccola il suo dannato Leary, cinico spietato e sicuro di ciò che fa dal principio alla fine, con uno sguardo raggelante nascosto fra le sue numerose parrucche. Petersen non fa nulla di particolarmente straordinario rispetto al comune film action che gli americani sanno proporre come noi un espresso al bancone, ma conosce esattamente quello che il pubblico USA vuole vedere e ingrana la quarta spingendo su tutte le peculiarità che vanno ad alzare la tensione fino allo scontro finale. Probabilmente tutto diventa anche più interessante se si pensa che Eastwood interpreta un ultracinquantenne ma l’attore all’epoca delle riprese ne ha 61/62. Il vecchio leone ferito da uno dei più drammatici momenti della storia recente americana ha la possibilità di riscattarsi con un folle psicopatico che si dimostra più determinato di lui. Gli argomenti trattati che rasentano la realtà (la collaborazione a stretto giro dei servizi segreti con lo sceneggiatore Maguire) e il dolore ancora fresco per quei tragici eventi di Dallas nel novembre del 1963, il dualismo fra questi due cavalieri dell’acting vanno comunque in disaccordo con la spigolosa relazione fra Eastwood e Russo (che non è la Bergman), che ha il faticoso compito di smorzare la tensione tenuta sempre in tiro.
Nel centro del mirino è quindi un classico, ne più ne meno, con le musiche di un altro veterano come Morricone e la fotografia di John Bailey, con un parco attori notevole e un montaggio calibrato (Anne V. Coates).
Per certi versi questo titolo potrebbe essere la cosa migliore che Petersen ha fatto da quando è approdato negli Stati Uniti. Praticamente impeccabile.
★★★★☆