Figlio d’arte, un peso mal sopportato sulle sue spalle così atletiche, e una filmografia davvero ridotta. A 28 anni non è una stranezza quando sei un attore in crescita. Dopo le tribolate riprese sul set del buon b-movie Resa dei conti a Little Tokyo con il partner Dolph Lundgren, Brandon Lee aveva fra le mani una ghiotta opportunità, anzi due: poter essere la star di un film sì indipendente ma basato su un fumetto fantastico nato dalla mano di James O’Barr e poter dimostrare che sapeva fare anche l’attore oltre che sfoggiare con talento le sue arti marziali. Poteva essere un punto di partenza. Così non fu, ma il suo nome divenne leggenda, come papà Bruce.
Alex Proyas aveva alle sue spalle una serie di interessanti cortometraggi e una regia per un film indipendente australiano chiamato Spirits of the Air, Gremlins of the Clouds (1989), fine.
Il produttore veterano Edward Pressman (Blue Steel – Bersaglio mortale, Wall Street, Talk Radio) aveva le idee chiare su come sarebbe stata composta la squadra per portare sul grande schermo The Crow, uscito nel maggio del 1994, dopo una lunghissima fase di post produzione per fatti che non serve spiegare per l’ennesima volta.
Al protagonista nato ad Hong Kong si aggiungono Ernie Hudson, Michael Wincott, Rochelle Davis, Bai Ling, Tony Todd, David Patrick Kelly, Laurence Mason e Michael Massee.
I numeri al botteghino a fine corsa ne decretano il successo: 95 milioni di dollari contro i 23 della spesa iniziale.
Eric Draven e Shelly Webster sono due giovani innamorati in procinto di sposarsi. Ma la notte prima delle nozze, la terribile Notte del Diavolo, così chiamata a causa della puntuale esplosione di violenze in città, quattro balordi chiamati T-Bird, Skank, Funboy e Tin Tin irrompono nel loro appartamento e, a turno, picchiano e violentano selvaggiamente Shelly. Nel frattempo rientra in casa Eric che viene accoltellato e lanciato dalla finestra, dopo che due dei quattro gli sparano una pallottola nel petto. Shelly morirà, dopo 30 ore di sofferenze, in ospedale.
Un anno dopo la sua morte, un misterioso corvo si posa sulla tomba di Eric ed il giovane resuscita. Grazie al corvo un’antica leggenda diventa realtà ed Eric può preparare la vendetta contro coloro che hanno portato tanto dolore nella sua vita, tanto da farlo tornare dal regno dei morti. Reso invulnerabile dalla sua nuova natura ultraterrena, Eric si aggira silenzioso e rapido nei vicoli della città.
Il corvo è il tramite tra il regno dei vivi e quello dei morti, i suoi occhi sono gli occhi di Eric, che in questo modo può avere una veduta aerea dal punto in cui il corvo si trova. Ritroverà, in questo modo, Sarah, la giovanissima amica che sente molto la loro mancanza, e sarà aiutato da un coscienzioso agente di polizia, Albrecht, che era rimasto al fianco di Shelly in quelle 30 ore di agonia e che Draven, essendo morto, percepirà attraverso gli occhi del poliziotto. Così il giovane scova, uno ad uno, i quattro balordi vendicandosi senza pietà.
Tornato nella sua abitazione, Eric vive gli istanti della sua morte e della violenza a Shelly; quindi si trucca come Pierrot, si veste di nero ed inizia a vendicarsi uccidendo il primo teppista, Tin Tin. Poi si reca da Gideon, titolare di un banco dei pegni, per recuperare l’anello di fidanzamento. Eric commissiona a Gideon di informare i suoi aguzzini del suo ritorno e, in seguito a una provocazione del negoziante, fa esplodere la sua attività e se ne va per continuare la sua vendetta. Nel frattempo Top Dollar, il boss del crimine che controlla tutte le bande di strada della città, e la sua amante/sorellastra Myca sono venuti a conoscenza delle azioni di Eric attraverso vari rapporti di testimoni.
Eric, che frattanto ha liberato Darla (la madre di Sarah) dalla prostituzione e dalla schiavitù della droga, elimina Funboy, il secondo carnefice. La stessa sorte toccherà a T-Bird, il capo dei balordi, eliminato davanti agli occhi di Skank, ultimo obiettivo del protagonista. Skank viene sorvegliato dagli uomini di Top Dollar, poiché potrebbe fornire informazioni importanti sul conto di Eric. Draven giunge nel covo dell’organizzazione, chiedendo a Top Dollar di lasciargli solamente Skank per concludere la sua vendetta ma, davanti al suo rifiuto, lo provoca e il boss ordina ai suoi uomini di freddarlo.
A questo punto per Eric l’obiettivo è un altro…
Il corvo è una favola cupa, intrisa di sangue e dolore, ma anche di sentimenti come amore, amicizia, vendetta e onore. Epico nelle sue scenografie gotiche, rabbioso con la sua colonna sonora (The cure, Stone Temple Pilots, Pantera, Nine Inch Nails, Rage Against The Machine, Violent Femmes…) e lo score di Graeme Revell, oscuro e potente con la sua fotografia (gli esterni sono notturni nel 97% di tutta la pellicola). Brandon Lee, padrone assoluto di questa favola dark sfrutta al massimo il suo Eric Draven, diventando una sorta di Joker senza colori e con molto poco humor, quando inserisce una battuta si ride a denti stretti e si teme per l’incolumità della sua vittima.
La pellicola è una palese rappresentazione di un momento molto importante per la cultura pop: il cinema vivido torna a respirare le atmosfere più deprimenti dei primi anni settanta, la musica rock si imbottisce di rabbia e frustrazione e scalcia malamente le sonorità più dolci, siamo nel 1992/93 e il grunge impazza ovunque.
Ernie Hudson, ex ghostbuster sembra un testimone di tutto questo processo, sia per essere risucchiato in una città dove la più fioca delle luci può rappresentare la salvezza e dove la pioggia sembra durare in eterno (l’anno dopo lo stesso elemento sarà onnipresente anche in Seven di David Fincher). Michael Wincott, una carriera dedicata a fare il villain per il suo volto così spigoloso da non permettergli alternativa, interpreta magnificamente il suo Top Dollar (doppiato da Mario Cordova). Non sono da meno tutti gli attori di secona fascia dove spiccano i caratteristi Tony Todd e David Patrick Kelly.
La fotografia (Dariusz Wolski) è probabilmente l’elemento che colpisce di più. Sarà questo il motivo per cui Proyas dirigerà un altro (l’ultimo?) piccolo capolavoro come Dark City nel 1998? Poco importa, fatto sta che la scelta di puntare sul visionario Wolski si tradurrà nell’arma vincente: le atmosfere create dal cineasta polacco sprigionano tensione, degrado urbano, mistero in un tripudio di oscurità in cui i rari momenti di luce danno quasi fastidio perchè sembra riemergere con la testa da un confortevole abisso al sembra essersi abituati.
A partire da quel tragico giorno, 31 marzo 1993 il terzultimo delle riprese, Il corvo si è trasformato in una montagna da scalare per sistemare le numerose lacune relative alla fase di montaggio e la spesa aumentò di ben 8 milioni di dollari. Ma grazie all’impegno di una troupe forte del nulla osta di Eliza Hutton (fidanzata di Brandon Lee), la pellicola di Proyas entrò nel mito, specialmente nella distribuzione home video.
Tre sequel – di cui solamente il secondo è in un certo senso collegato dal personaggio di Sarah e onestamente guardabile – uno peggiore dell’altro: il tentativo di speculare su una storia destinata a vivere per una sola pellicola fallì miseramente.
★★★★☆