Ambientato un anno prima de I predatori dell’arca perduta (1981), Il tempio maledetto è il secondo episodio delle avventure del’archeologo Henry Jones, detto Indiana, interpretato da Harrison Ford diretto da Steven Spielberg con la supervisione del creatore George Lucas, una collaborazione ancora oggi attiva (è in fase di preparazione il quinto atto). A pochi giorni dall’uscita del primo film, visti gli importanti incassi già nel primo weekend, Spielberg e Lucas iniziarono a pensare al seguito, un film che sarebbe poi divenuto a tutti gli effetti un prequel. La diversa ambientazione e il cambio di attori di contorno diedero una svolta certamente interessante alla nuova avventura dell’affascinante e intrepido professore. Una delle ragioni più strane per aver portato avanti il progetto furono un numero ingente di scene divertenti non utilizzate nella prima avventura. Indiana Jones e il tempio maledetto esordì nei cinema nel maggio del 1984 e fu un grandissimo successo di pubblico (incassò ben 333 milioni di dollari, contro una spesa di 30). Ci vollero cinque anni per un altro episodio, ma questa è un’altra storia.
Shanghai, 1935. In un night club il professor Indiana Jones, archeologo e avventuriero, sta conducendo una trattativa con il gangster Lao Che. Quando l’accordo pare concluso, Indiana capisce di essere stato avvelenato: a caccia dell’antidoto in mano a Lao, prende in ostaggio Willie Scott, la cantante del locale, (nonché donna del gangster) scappando assieme a lei e all’aiuto del piccolo Shorty. I tre riescono a raggiungere un aereo e a lasciare il paese, ma i piloti del velivolo, al soldo di Lao, li lasciano precipitare sulle montagne indiane. Salvatisi dall’impatto, vengono accolti da una tribù ridotta in miseria in seguito al furto di una pietra sacra, effettuato dal culto Thug del rinato palazzo di Pankot. Gli abitanti avevano molto pregato il dio Shiva di ricevere aiuto, e quando vedono Jones lo credono il loro salvatore. Deviando sulla strada per Delhi, i tre giungono a Pankot dove vengono accolti da un giovane Maharaja, che dichiara di non avere nulla a che fare con la sorte del povero villaggio. Durante la notte però Jones viene attaccato da un adepto e, trovato un passaggio segreto nella camera da letto di Willie, s’inoltra nei sotterranei dove sorge il Tempio del Male. Qui assiste a un sacrificio umano, fatto in nome della dea Kali. Quando gli adepti se ne sono andati, Indiana recupera le pietre sacre, ma sente delle grida e scopre che i bambini spariti dal villaggio vengono schiavizzati per lavorare nelle miniere alla ricerca delle altre pietre sacre. Accecato dalla rabbia, l’archeologo si fa scoprire, venendo fatto prigioniero così come Willie e Short. Indiana viene drogato con il sangue della dea Kali, sotto il cui malefico influsso si accinge a sacrificare Willie alla divinità, ma Shorty riesce a farlo tornare in sé. Una volta liberatosi dei seguaci di Kali, cerca di affrontare il malvagio stregone Mola Ram, il capo del culto, che però scappa. Liberati i bambini, Indy, Willie e Shorty fuggono attraverso i binari della miniera, che lo stregone allaga, tentando di fermarli…
Se si volesse stilare una classifica dal migliore al peggiore della (finora) quadrilogia, questo film si piazza inevitabilmente al terzo posto, visto che il primo e il terzo sono inarrivabili e il quarto è una mediocre rimpatriata di rara noia. Se da una parte, in effetti, si ha a che fare con delle splendide scene con scenografie straordinarie (Elliot Scott), con musiche imperiali che solo i colossal possono permettersi (John Williams) e gli effetti speciali (veri) della ILM (e di un giovane David Fincher non accreditato), ci sono dei momenti in cui si nota una sufficienza esagerata, quasi voluta, e si riscontra proprio nella regia con delle clamorose sequenze prive di anima e patinate. Le sbavature sono ancora più evidenti nel mal riuscito rapporto con il piccolo Jonathan Ke Quan (molto più a suo agio ne I Goonies) e a tratti anche la mezza relazione con la snob Kate Capshaw (futura moglie del regista), al limite della sopportazione. Della pellicola intera, ci sono tre sequenze che valgono il prezzo del biglietto: la terrificante scena del povero cristiano immolato per la Dea Kalì, ancora oggi è spaventosa; la scena finale sul ponte di legno e soprattutto la corsa dei carrelli nelle miniere, probabilmente una delle più belle scene d’azione di Hollywood. Il resto è nel più classico dei film d’avventura targati Spielberg, ne più ne meno, con quel senso di appagamento da soddisfare i palati dei teenager più esigenti. Ecco perchè è un film storico, ma non grandioso: un kolossal d’avventura con picchi altissimi e il tempo restante con livello prettamente scolastico. Tre stelle e un quarto.
Harrison Ford si sottopose ad una dieta forzata e ad un duro allenamento per sembrare più giovane e per affrontare scene a petto nudo.
★★★✬☆
3 risposte a "Indiana Jones e il tempio maledetto (1984)"