Ladro e gentiluomo, nato dalla penna di Leslie Charteris nei lontanissimi anni 20, Simon Templar ha indossato tante maschere, sia quelle dei personaggi che interpretava per riuscire nelle sue delicate missioni sia quelle degli attori che lo hanno interpretato, uno su tutti l’elegante Roger Moore fino al più recente Adam Rayner. Il viaggio di questo elegante criminale dura da quasi un secolo e la nostra fermata è datata 1997, anno in cui il bravo regista australiano Philip Noyce (Giochi di potere, Il collezionista di ossa, Ore 10:calma piatta) dirige il lungometraggio targato Paramount Pictures e Rysher Entertainment con una possente produzione (David Brown e Mace Neufield). Presentato in pompa magna nel Natale 1996, il film di Noyce venne distribuito a partire dal 4 aprile 1997 ed ottenne un buon successo al botteghino (170 milioni di dollari contro i 75 spesi). Nel cast figurano i giovani Val Kilmer ed Elisabeth Shue affiancati dal più anziano Rade Serbedzija, con i britannici Alan Armstrong e Charlotte Cornwell.
Simon Templar è un inafferrabile ladro dotato di una straordinaria abilità nei travestimenti ed è soprannominato “il Santo” per la sua abitudine di usare come identità fittizie nomi di santi cattolici. Questa consuetudine è dovuta al fatto che Templar è cresciuto in un orfanotrofio cattolico: egli stesso è stato battezzato con il nome di un santo, John Rossi, ma si è sempre riferito a se stesso con il nome di “Simon Templar” in onore di Simone Mago e dei cavalieri templari. A Mosca, Templar ruba un prezioso microchip dalla sede centrale della Tretiak Oil Company, approfittando di un comizio politico tenuto dal suo presidente, il miliardario Ivan Tretiak. Durante l’operazione, Templar viene sorpreso dal figlio di Tretiak, Ilya, ma riesce a dileguarsi ricorrendo ai propri travestimenti. Successivamente, Templar viene contattato proprio da Tretiak, che lo assume per rubare la formula della fusione fredda, scoperta a Oxford dalla scienziata americana Emma Russell. Usando come falsa identità il nome di Tommaso Moro, Templar si finge un artista giramondo e riesce facilmente a conquistare la fiducia e il cuore dell’ingenua e romantica Emma. Lo stesso Templar, però, finisce per scoprirsi attratto a sua volta dalla scienziata e vorrebbe rinunciare alla missione; alla fine, tuttavia, si vede comunque costretto a rubare la formula per non mettere in pericolo la vita di Emma e la consegna a Tretiak. Questi, intenzionato a vendicarsi del Santo per il furto del microchip, subito dopo aver ricevuto la formula manda a Oxford una squadra di sicari, capeggiati da Ilya, per sistemare Templar, ma il Santo riesce ancora una volta a cavarsela. Templar si reca a Mosca per costringere Tretiak a saldare l’onorario per il furto della formula; compiuta anche questa missione, si appresta a lasciare la Russia…
Sebbene nella fase di preproduzione fosse stato ben apparecchiato, il progetto di questo revival del Simon Templar del compianto Roger Moore tende ad imbarcare acqua sin dalle prime scene, dove se da una parte si mostrano le capacità tecniche di Noyce, dall’altra si avvertono profonde carenze narrative. Il binomio Kilmer-Shue non funziona a causa della scelta del primo: uno statunitense non ha le peculiarità di un ladro gentiluomo inglese, nessun dubbio. La natura dell’iconico personaggio creato da Charteris viene quindi immediatamente “violentata” e Kilmer sembra rimanere incastrato in quello che potrebbe definirsi un ibrido fra il suo granitico Bruce Wayne e un attore costretto ad indossare baffi e parrucche per confondersi tra la folla. Potrebbe salvarlo il più naturale personaggio di Emma Russell (una brava Liz Shue), che con la sua naturalezza riesce ad entrare nella sua mente ferita: ci riesce ma in parte, perchè il vero crack è un grande Serbedzija (troppo sottovalutato caratterista), capace di dare tanto condimento ad un piatto “piatto”. La performance del croato non può tuttavia salvare un film che sa già di essere debole in partenza, che pretende di giocare a fare lo 007 quando non ha la stoffa di un decente film per la TV. Probabilmente è una delle più sprecate riproposizioni cinematografiche degli ultimi trent’anni: sarà proprio per questa ragione che si mormora di un reboot con il bel Chris Pratt nei panni di Templar? Difficile pensarlo se ad oggi si ricila anche il riciclato.
In sintesi: Il Santo è un film mediocre, con una sceneggiatura distratta e poco fluida, con due attori e mezzo dove il mezzo è il protagonista (candidato giustamente ai Razzie Adwards) e con improponibile finale buonista. Belle le scene d’azione ma è davvero troppo poco.
★★☆☆☆