La casa ai confini della realtà – Paperhouse (1988)

Paperhouse_0Prima di ottenere un discreto successo con il primo capitolo della saga di Candyman (1992), il regista britannico Bernard Rose assieme ai produttori Tim Bevan (Elizabeth, Il diario di Briget Jones, L’ora più buia) e Sarah Radclyffe (I miserabili 1988, Zona di guerra), diresse un interessante soggetto proposto da Catherine Storr e riscritto con Matthew Jacobs sulle vicende di una bambina affetta da mononucleosi infettiva che riesce a dare vita ai suoi disegni mentre sta sognando. Parte del soggetto ricalca una misconosciuta serie britannica per bambini uscita nel 1972 con il nome di Escape into night. Tradotto all’epoca come La casa ai confini della realtà, Paperhouse (questo il titolo originale) debutta sul grande schermo nel lontano settembre 1988. Oltre a poter contare sulle musiche di un giovanissimo Hans Zimmer (assieme a Stanley Myers), questa pellicola vanta presenze artistiche di Ben Cross, Elliot Spiers, Glenn Headly, Gemma Jones e la piccola Charlotte Burke.

Una sera, mentre stava soffrendo per una mononucleosi infettiva, l’undicenne Anna Madden disegna una casa. Una volta andata a letto, vede materializzarsi in sogno i suoi disegni. Ogni notte, ogni cosa che lei disegna prende presto vita in questi sogni febbricitanti. Anna si perde quindi nella solitudine del suo mondo interiore, quando scopre che può venire a contatto con un’altra dimensione. Un giorno decide di aggiungere un volto alla finestra e, durante la visita seguente, trova nella casa un ragazzo disabile di nome Marc. Dalla conversazione del suo dottore si scopre che Marc è una persona reale. La casa si mostra ben presto un incubo, tanto che Marc esprime il desiderio di volersene andare.
Anna disegna suo padre nel foglio in modo tale da aiutarla a portare Marc via da quel posto, ma inavvertitamente gli dà un’espressione arrabbiata che lei poi cancella.
Il padre (che è stato via per molto tempo e che aveva avuto problemi del bere, mettendo a dura prova il matrimonio dei genitori di Anna), fatta la sua comparsa nel sogno, appare come un orco cieco e furioso. Anna e Marc riescono a sconfiggere il mostro e poco tempo dopo Anna guarisce, anche se il dottore le rivela che le condizioni di Marc stanno peggiorando.
Intanto, nella realtà…

Un pò come fu per Scarlatti – il thriller (1988), questo Paperhouse rappresenta un film atipico e difficilmente catalogabile – uno sforzo maggiore lo effetuerà Guillermo Del Toro nel 2006 con Il labirinto del fauno – film in cui non si ha la percezione di dove finisce la dimensione adolescenziale e dove inizia l’incubo: il gioco delle immagini si diverte a ingannare lo spettatore spiazzandolo con emozioni forti. Meravigliose la scenografia e le suggestive inquadrature delle lande ricche di verde, mondo in cui i piccoli protagonisti sono più soli e in cui affrontano il nemico. Resta il fatto che la tensione non riesce a stare al passo con una sceneggiatura solida, un difetto (?) in Paperhouse_2cui gli inglesi hanno a che fare da sempre e che rendono un film apparentemente in stile USA un film diverso. Charlotte Burke bravissima, forse troppo poco spazio per Ben Cross. Distante dalle geometrie circensi di Terry Gilliam, il film di Rose è capace di sorprendere più per metafore – fanciullezza/adolescenza, malattia/distacco. Non ha la pretesa di voler essere un film autoriale ma la direzione in cui si spinge sembrerebbe quella, probabilmente si autoconvince di voler emulare alcune sequenze come un film oltreoceano ma impatta con la propria identità europea. Non sarà eccezionale nella sua interezza, ma Paperhouse pone le basi per quello che farà il regista a quattro anni di distanza con il ben più spaventoso Candyman.

★★★☆☆

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