Quando la tua pellicola si becca una bella nomination agli MTV per “Attrice più attraente” e tre belle chiamate ai Razzie Awards, allora le cose non sono andate proprio come pensavi. È questa la triste storia di Analisi finale, il film di Phil Joanou, francofono statunitense che aveva diretto gli U2 nello storico docufilm Rattle and Hum del 1988 e il coraggioso Stato di grazia con Sean Penn un paio di anni dopo. Il regista era sceso a patti con lo sceneggiatore Wesley Strick (Aracnofobia, Cape Fear – il promontorio della paura) per dirigere il sexy trio Gere, Basinger, Thurman in una vicenda dai connotati erotici ma su una base thriller con interessanti sviluppi, anche per un eventuale sequel.
Le premesse erano buone, i risultati non furono all’altezza. C’era alle loro spalle una buona produzione, un buon budget (33 milioni di dollari), ma gli incassi furono mediocri e la critica non fu da meno. Nel cast c’erano anche Eric Roberts, Paul Guilfoyle, Keith David e Robert Harper.
Il dr. Isaac Barr è un noto psichiatra di San Francisco. Durante il trattamento analitico della sua giovane paziente Diana Baylor, il dr. Isaac, al fine di conoscere alcuni episodi poco chiari del passato della donna, accetta di incontrarsi nel proprio studio con la sorella Heather che, con il suo modo di comportarsi, seduce l’uomo. Poco dopo però, Heather viene accusata di aver ucciso il marito. La difesa conta sull’aiuto della testimonianza di Isaac e sul fatto che la donna ha dei vuoti di memoria dovuti all’alcool, riuscendo in tal modo a scagionarla dalle accuse; in cambio Heather dovrà passare un periodo in un centro di cura. Isaac però scopre la verità sul conto della donna, che aveva ordito l’omicidio contando sulla bravura del suo amante per farla franca e intascare così l’assicurazione sulla vita del marito ucciso. Prima osteggiato ma poi aiutato dal detective Huggins, dovrà affrontare la furia di Heather che li vuole morti entrambi…
Sicuramente una cosa che resta piuttosto impressa alla fine è la durata eccessiva di una pellicola che, sì, può vantare una fotografia davvero suggestiva (Jordan Cronenweth) e la sontuosa colonna sonora diretta da George Fenton, ma si trascina davvero troppo per una storia un pò troppo vanitosa. Il duo Gere/Basinger, dopo la buona prova di qualche anno prima in Nessuna pietà, funziona bene ma ad arrancare è il cast di contorno a partire proprio dalla giovane Uma Thurman che tende a farsi un pò spazio ma risente molto della sua posizione marginale pur se cardine del main topic.
Così seppur la funzionante direzione di Joanou non manca di dinamicità, la voluta tensione hitchcockiana perde lentamente i pezzi e si sbriciola nella seconda parte fino ad un finale piuttosto scontato. Il problema sta nell’evoluzione dell’intreccio che, qualora fosse stato un pò scremato da certe inutili sequenze avrebbe certamente acquisito più fascino, anche perchè la sensualità di entrambi i protagonisti non è opinabile, vuoi per la lucente freddezza del volto della Basinger, vuoi per il fascino (anche dovuto al mestiere) di Gere. Ma vabbè.
Ovviamente, anche in questo caso non si grida ne al nuovo Vertigo ne ad un thriller dei peggiori Vanzina, ma di certo non è potente quanto quel Cape Fear scritto dallo stesso tizio che ha generato questo pallone un pò gonfiato.
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