The mothman prophecies – Voci dall’ombra (2002)

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Tratto da un inquietante romanzo scritto da John Keel, storico ufologo appassionato di misteri inspeigabili, e diretto da Mark Pellington il quale aveva sorpreso critica e pubblico con l’amarissimo Arlington Road- L’inganno (1998), il film racconta una vicenda ispirata a fatti realmente accaduti. In un periodo cinematografico dove il soprannaturale sembrava essere tornato di moda (Il sesto senso, K-Pax, da un altro modo e The Others), sicuramente il film di Pellington dice la sua e affascina lasciando un alone di mistero. Distribuito dalla Screen Gems e prodotto dalla Lakeshore Entertainment all’inizio del 2002, il film ottenne un buon successo al botteghino incassando circa 75 milioni di dollari in tutto il mondo a fronte di un budget di circa 32 milioni. Il film rivede sullo schermo la coppia Gere – Linney, che avevano già lavorato assieme nel thriller Schegge di paura (1996).

John Klein (Gere), giornalista del Washington Post, sta cercando una casa assieme a sua moglie. Ritornando a casa, i due coniugi hanno un incidente automobilistico.

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La moglie, che giura di aver visto una figura oscura prima dell’impatto e che sembra aver avuto conseguenze peggiori, durante i controlli medici le viene diagnosticata una rara forma di tumore. John, che le rimane accanto fino alla fine, cade in una fase depressiva e, per distrarsi dalla prematura scomparsa della coniuge, accetta uno spostamento in Virginia dove poter continuare il suo lavoro. Nel tragitto si ritrova misteriosamente alle porte di una cittadina chiamata Point Pleasant, in cui alcuni degli abitanti giurano di soffrire di visioni simili a quelle che la moglie aveva avuto poco prima dell’incidente. Klein si rende conto che l’entità descritta dalla gente di Point Pleasant sembra voler comunicare una tragedia nelle zone limitrofe. Al giornalista si affianca lo sceriffo Connie Mills (Linney).

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Sicuramente sulla scia mystery rilanciata dal metodo Shymalan (Il sesto senso, Unbreakble, Signs), il film di Pellington non sorprende come soggetto originale, ma certamente il suo sviluppo, più cupo e negativista che mette in luce le capacità drammatiche di Richard Gere. A questi si può certamente aggiungere l’ottimo Will Patton e la sempre brava Laura Linney. La morte della persona cara fa scaturire una serie di paranoie volte a complicare il significato della vita: tali fobie si mescolano alle credenze popolari, alle visioni incredibili e alla possibilità di aggrapparsi a precognizioni per appagare una redenzione difficile da raggiungere. Davvero niente male la fotografia di Fred Murphy, vagamente simile alle scelte più acide di Fujimoto. Uscito poco prima del mediocre Dragonfly – Il segno della libellula, film con una trama somigliante.

★★★✬☆

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